LA MALARIA ROMANA DI FINE 800, TRA PREGIUDIZI E TEORIE STRAMPALATE

Tratta da: “Rassegna storica a cura di Ugo De Angelis. SPACE, progetto pilota Parco Satricum.”

image147La malaria dimorava già nell’antichità e probabilmente il nostro territorio era già malarico quando si insediarono le prime colonie. Di certo è che queste popolazioni fin dai primi tempi di Roma praticavano il culto della Dea Febbre dedicandone dei templi. Il pregiudizio che la malaria si produca soltanto nelle acque stagnanti, per effetto della putrefazione dei depositi organici, è stato per lungo tempo radicato nell’idea della nostra comunità. Chiamando “miasma palustre” la causa di infezione malarica e chiamando quest’ultima “paludismo o impaludismo” In quegli anni era ancora opinione comune che l’agente patogeno si diffondesse nell’aria infettando l’organismo umano per via respiratoria. In tempi più recenti, 1886 Tommasi-Crudeli partendo da dati oggettivi, provava che molte vaste aree paludose non sempre producevano malaria, mentre spesso questa era presente in luoghi salubri dove non esistevano tracce di ristagni d’acqua.1692_giovanni_battista_cingolani_2topografia_generale_dellagro_romano - Copia Anche se egli riteneva che la malaria era una “malaugurata produzione del suolo”, per cui, finche quest’ultimo era sommerso dall’acqua non avrebbe potuto emanare nell’aria l’agente patogeno. Allora era molto affermata la teoria che la malaria provenisse dalle paludi africane importata nel nostro territorio da venti di scirocco. Per questo motivo si impiantarono boschi sul litorale romano con funzioni di filtro e schermatura naturale dei venti di scirocco portatori dell’agente malarico. In più invece asserivano che la malaria provenisse dalle Paludi Pontine e dagli stagni di Ostia e Maccarese sempre per mezzo dei venti. La bonifica idraulica di queste paludi doveva quindi bastare a liberare Roma e il suo territorio dalla malaria. Allora si pensava che per rendere più salubri i terreni delle paludi bastasse impiantare gli Eucaliptus in quanto si supponeva che con l’aroma delle loro foglie si distruggesse l’emanazione miasmatica del terreno.
Gli interventi sperimentali  di bonifica del 1880 mediante piantagioni di Eucalitti in alcune tenute dell’Agro non portarono a nessuna flessione dell’infezione malarica. Fra i pregiudizi più diffusi di quel periodo era quello di attribuire alle foreste la proprietà di generare la malaria. Altri invece attribuivano ai venti sciroccali il trasporto della malaria a Roma e quindi l’utilità di opporre ai venti una barriera di boschi che con il loro fogliame trattenessero i flussi d’aria malarica. Nel 1714 Michelangelo Caetani Duca di Sermoneta  aveva contratto con un mercante di Livorno il taglio di alcuni suoi boschi della Selva di Cisterna nella Palude Pontina. Sorsero opposizioni della popolazione di Cisterna ed in merito chiamarono ad esprimersi il monsignor Giovanni Maria Lancisi, medico e cameriere segreto del Papa Clemente XI . Egli partendo dal concetto che solo nei luoghi palustri si potesse diffondere la malaria, sosteneva che per difendersi dai suoi effetti si dovesse interporsi dei boschi, che con il fogliame dei propri alberi avrebbe trattenuto la malaria, funzionando come una sorta di filtro. Occorre ammettere che il Lancisi con la sia pur articolata e fantasiosa relazione riuscì a  sortire l’effetto di tutelare dal taglio indiscriminato la Selva di Cisterna situata nelle paludi della Pianura Pontina situata a ridosso dell’allora tenuta di Conca del Sant’Uffizio. Occorre inoltre sottolineare che la teoria del Lancisi influenzò il Legislatore in tal modo che paradossalmente non tutelò i boschi montani della Provincia di Roma mentre impose il vincolo forestale nella pianura. Purtroppo l’infausta sorte V0003346 Giovanni Maria Lancisi. Line engraving by G. Marcucci afterdel bosco fu solo rimandata, quando nel 1850-60 la Selva di Cisterna fu completamente tagliata dai Caetani. Nell’elenco delle iniziative più strampalate ci fu chi propose la piantumazione di girasoli in tutto il territorio dell’Agro romano al fine di correggere la composizione del suolo e attirare nuvoli di uccelli i quali svolazzando avrebbero purificato l’aria dalla malaria. A questa ne succedette quella degli eucalitti che dovevano avere la funzione di succhiare l’acqua dal sottosuolo mentre le foglie morte cadute sul terreno avrebbero prodotto la sterilità del suolo con la conseguente interruzione della produzione malarica. Malaria zanzaAltre volte si vedevano nelle Paludi Pontine delle piattaforme sollevate da terra sorrette da pali lunghi quattro o cinque metri, sulle quali le popolazioni rurali,  dormivano all’aperto nelle stagioni estive, certi che così facendo l’aria infettata dal suolo non potesse arrivarvi. Un altro espediente fu quello di realizzare le finestre degli edifici rurali solo nella corte interna in modo tale che una volta chiusa la porta,  l’aria degli ambienti venisse rinnovata dagli strati atmosferici posti all’altezza del tetto. ,  esposero un modello di un’antica casa colonica  dell’Agro romano, che aveva caratteristiche simili all’edificio sopra descritto. La malaria nell’Agro costituiva uno dei principali ostacoli di sviluppo agricolo soprattutto per quelle colture che richiedevano la  presenza dei coltivatori anche nella stagione estiva. Anche se talvolta le popolazioni agricole per il giusto tornaconto, erano disposte ad affrontare il pericolo con singolare coraggio.  Ne fu un esempio la coltivazione intensiva praticata dagli abitanti di Sezze nelle fertili terre dei Campi Setini poste nella zona pedemontana delle Paludi Pontine dove la popolazione che dal paese scendeva a lavorare nei campi  veniva decimata dalla malaria. Dettata dall’esperienza popolare per ridurre al minimo l’inalazione del fermento malarico contenuto nell’aria infetta si evitava di uscire di casa all’alba e al tramonto. In realtà inconsapevolmente questa era una giusta precauzione  perché più tardi si scopri che proprio in quelle ore del giorno si addensava la  maggior quantità di zanzare anophele. Altri proposero per i lavoratori dello Stato in servizio nella campagna romana l’applicazione nella bocca e nel naso di appositi filtri respiratori durante le ore più pericolose della giornata.

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