ANTONIO PENNACCHI. IL RICORDO

di Giovanni Berardi

Antonio PennacchiAntonio Pennacchi se ne è andato esattamente martedì 3 agosto. Giungiamo con questo  ricordo per ultimi, una scelta, certo, anche per esimerci, in fondo, dal piangerlo in diretta.  Quello che salta agli occhi,  immediatamente, è riconoscere che le grandi stagioni che la letteratura italiana ha vissuto in questi ultimi anni passa certamente anche attraverso i libri di Antonio Pennacchi ed anche attraverso le sue urla. Sin dai suoi primi titoli,  Mammut, Palude, Una nuvola rossa,  il mondo editoriale aveva capito che cominciava davvero a fare i conti con uno scrittore fuori dai sistemi convenzionali. Non era poco per una editoria italiana indirizzata, in quei tardi anni ottanta,  verso una status che lambiva una buona dose di banalità.  Poche le eccezioni, pochi i capolavori letterari sul mercato ed  Antonio Pennacchi in questo senso ha certo segnato anche la novità.  Il suo tema, quasi unico, la narrazione dell’Agro pontino ed il suo processo di redenzione, una idea e un ambiente sino allora trascurato completamente dalla cultura italiana, un quotidiano storico che  Antonio Pennacchi ha raccontato poi attraverso i suoi braccianti e i suoi ingegneri che arrivavano nell’agro su treni simili ad arche di Noè. Solo Corrado Alvaro, nel lontano 1936 aveva provato a scrivere una prima essenziale cronaca del territorio con il suo Terra nuova. Prima cronaca dell’Agro pontino,  poi sull’argomento, culturalmente e storicamente, Daniele Luchettiè calato quasi il silenzio. Dopo sono le urla di Antonio Pennacchi e i suoi romanzi, testi che non hanno mai speso una parola per inneggiare ai fasti del ventennio, ma piuttosto hanno raccontato i costi pagati dal popolo umile, proprio in termini di riduzioni, sacrifici, delusioni. Ed Antonio Pennacchi con questi temi è arrivato lontano, con il suo libro Canale Mussolini poi sino sul podio del premio Strega, certo il premio nazionale più importante riconosciuto anche a livello internazionale. Personalmente poi con Antonio Pennacchi ci si incontrava spesso per le vie di Latina, incontri che sempre si traducevano in occasioni per rinnovare la nostra vecchia chiacchierata che aveva come assoluto riscontro il mondo del cinema, il mondo delle opere cinematografiche, soprattutto di quelle opere che Antonio non riusciva esattamente a ritenere come “proprietà dello spirito” convinto quale era della promiscuità e della contaminazione che realizzare un film certo comporta. Aveva insomma anche lì il suo buon contestare. Ma erano sempre contestazioni propositive. Si usciva solo arricchiti dalle sue discussioni, che Antonio amava sempre condire da una buona dose di spettacolo. Spesso e volentieri  poi la “diatriba”  aveva al centro il suo romanzo tradotto dal cinema, quel Fasciocomunista diventato poi  Mio fratello è figlio unico, che tanto durante la lavorazione lo aveva inviperito. Lui non amava certo le opere filmiche del regista Daniele Luchetti, non amava colui che aveva pensato per prima che il romanzo Il Fasciocomunista

arricchito dalle immagini, poteva portare, storicamente nella diatriba politica dei rossi contro i neri una certa comprensione, una equità “anche” dalle scene, per raccontare gli antichi alterchi, anche se lo scorrere degli anni insieme alle mutate eventualità, nello stato sociale, le aveva ormai anche un po’ assopite. Diceva Daniele Luchetti, a Latina, in sede di lavorazione del film: “attraverso il libro di Antonio Pennacchi voglio provare a raccontare la forza popolare del movimento sociale italiano che ancora, mi sembra, non è mai stata raccontata. Anche per questo voglio provarci, nel tempo descritto dal romanzo, che va dal 1963 al 1974, proprio nella stagione in cui i giovani italiani diventarono una categoria presente”.  Fin qui il regista Luchetti, che tendeva anche a ricordare comunque la sua militanza politica,  a sinistra,  da cittadino qualunque, all’epoca con una leggera simpatia per i girotondini. E lo scrittore Antonio Pennacchi nel frattempo?  Sentito proprio mentre a Latina si realizzavano alcune scene del suo romanzo, lo scrittore restava contrariato da come le cose nel tempo si erano evolute. Prima ci fu un tentativo della produzione di coinvolgerlo nella scrittura del film,  poi la produzione decise in maniera diversa, infine Antonio Pennacchi venne estromesso dal progetto del film.  E per questo lo scrittore prese a lanciare veri e propri strali all’indirizzo della produzione. Ma Daniele Luchetti, con gli Sandro Petraglia (1)sceneggiatori  Sandro Petraglia e Stefano Rulli, questa forza aveva percepito dalle pagine di Pennacchi e questa forza voleva portare a galla, anche sacrificando un po’ quello che era lo spirito di Antonio Pennacchi, quindi lo spirito del romanzo. Ma Antonio non ci poteva stare, anzi non ci voleva stare, non riusciva a capire perché “quei cinematografari” venuti da Roma dovevano interferire “proprio” nel suo romanzo.  Già in sede di sopralluoghi a Latina il regista Luchetti aveva messo  “paura” a Pennacchi, proprio quando aveva detto “oggi il centro storico di Latina non è più leggibile in stile fascista”  ed anche quando aveva aggiunto  “il mio è un film  liberamente tratto da un romanzo, che nel caso specifico è la formazione sociopolitica di uno scrittore della zona, Antonio Pennacchi appunto, ma resta un film che si nutre sempre di estrema ricostruzione”. Di contro  Antonio Pennacchi, ma sempre più Ma Antonio, come ci aveva sempre detto, nutriva grossi dubbi sulla capacità di scrittura del cinema

italiano, anzi nutriva seri dubbi proprio sulla capacità di produrre cultura da parte della “azienda Italia”,come la aveva apostrofata  “a partire anche dalla fiction di Canale 5, appena andata in onda, “Questa è la mia terra” e di come l’Assessorato alla Cultura dell’Amministrazione provinciale ha fatto i manuali di storia a Latina. Io quindi, alla luce di quello che penso, non posso non nutrire dubbi anche verso quelli che faranno il film dal mio romanzo” diceva Antonio Pennacchi. Ma allora Antonio, dacci una risposta finalmente precisa: quale il regista più adatto, oggi in Italia, a tradurre il tuo romanzo in immagini? Provocatoria, ovvio, la risposta: “Carlo Vanzina”.

 

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