GIOVANNI CIANFRIGLIA DA ANZIO IN ARTE KEN WOOD: “QUANDO NEL 1964 USCI’ “PER UN PUGNO DI DOLLARI” IL WESTERN COME GENERE ERA CONSIDERATO IN VIA DI ESTINZIONE. INVECE FU IL FILM CHE POI HA LANCIATO TUTTI I NOSTRI WESTERN VENUTI DOPO”

di Giovanni Berardi

Il 1964 è stato l’anno di  “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone. Quest’anno si celebreranno dunque i sessant’anni del film che praticamente ha fatto nascere in Italia il genere cinematografico del western.

G. Berardi G.CianfrigliaDice subito Giovanni Cianfriglia: “Per un pugno di dollari” è il film prototipo, quello che ha stabilito le coordinate del genere western italiano. E pensare che, quando nel 1964 il film uscì, il western in Italia come genere cinematografico era considerato in via di estinzione. Invece fu il film che poi ha lanciato, e proprio alla grande, tutti i nostri western venuti dopo, diciamo quelli un po’ più alla vaccinara”. E Giovanni  Cianfriglia da Anzio poi, proprio con questi  western, è diventato per gli schermi italiani Ken Wood, l’attore  insomma mito per il cinema italiano più popolare.  Giovanni Cianfriglia ha interpretato proprio i capolavori della fantasia più ludica ed anche di quella più prosaica. Il suo è stato il tempo degli Ercole e dei Maciste,  dei Sansone e degli Ursus, dei greci e dei romani. Dopo anche dei Ringo e Gringo, Sartana ed Alleluia ed anche degli 007 all’italiana. E poi della polizia che chiede aiuto, che ringrazia, che ha le mani legate o della  polizia che non può sparare. Dice Giovanni Cianfriglia. “eh si, perché stanchi del peplum passammo armi e bagagli al western e poi, stanchi di questi, passammo, sempre armi e bagagli, agli spy-story, insomma agli 007 fatti in Italia e poi, ancora stanchi, ai poliziotteschi”.  E stanchi dei poliziotteschi poi?  Dice Giovanni Cianfriglia: “stanchi dei poliziotteschi poi io sono per natura invecchiato ed il cinema italiano, proprio come  industria, è decisamente morto”. Giovanni Cianfriglia, o per meglio dire Ken Wood, con la sua filmografia ha accompagnato proprio l’evoluzione industriale del cinema italiano, ha circoscritto davvero il fenomeno spettacolare del settore tanto da fare contare all’attore un curriculum di ben cento e più film.  Peschiamo tra i tanti: “Le fatiche di Ercole”, “La guerra di Troia”, “Il figlio di Spartacus”, “Sandok il Maciste della giungla”,  “Killer Kid”, “Agente Z 55 missione disperata”, “Tecnica di un omicidio”, “Johnny Oro”, “I cinque della  vendetta”, “La sfida dei giganti”,  “Superargo contro Diabolikus”, “Colpo doppio del camaleonte d’oro”, “Il Re dei criminali”, “Ballata per un pistolero”, “Se vuoi vivere spara”, “Tre croci per non morire”, “Ammazzali tutti e torna solo”, “Arriva Durango … paga o muori”, “Il ritorno del gladiatore più forte del mondo”, “La polizia ha  le mani legate”,  “Piedone lo sbirro”,  “… altrimenti ci arrabbiamo …”, “Il trucido e lo sbirro”, “Keoma”, “Napoli   violenta”, “Pari e dispari”, “Lo chiamavano Bulldozer”, “Bomber”, “Occhio alla penna”, “Chi trova un amico trova un tesoro”, “Banana Joe”, “Il pentito”, “Alex l’ariete”.

 locandina Per un pugno di__ dollariOggi Giovanni Cianfriglia è un bel signore di ottantotto anni, ancora atletico, brioso, espressivo, loquace.  Guardandolo bene puoi riconoscergli ancora, come cucita addosso, la tuta portata in “Superargo contro  Diabolikus” di Nik Nostro. Poi se procedi ancora avanti, cullato dai mesti ricordi, puoi intuirgli sul viso, ancora intatta, la ferocia di  Blady, sfoggiata in “Ammazzali tutti e torna solo” di Enzo G. Castellari, così  come ciavverti tutta la perfidia di Stark di “Se vuoi vivere spara” di Sergio Garrone. E guardandolo a fondo puoi ritrovargli anche tutto il garbo e tutta la bontà di Reno vista in “Tre croci per non morire” ancora di Sergio Garrone. E che risate quando gli ricordiamo le botte prese e gli sganassoni centrati per davvero come in “Altrimenti ci arrabbiamo” di Marcello Fondato, in “Pari e dispari” di Sergio Corbucci, in “Banana  Joe”  di Steno o in “Antonio e Placido – attenti ragazzi chi rompe paga!” di Giorgio Ferroni. Dice Giovanni Cianfriglia, seduto nei giardini della accogliente Piazza Pia di Anzio, la cittadina dove è nato e dove ha sempre vissuto: “non mi chiedere però il numero esatto dei film fatti perché proprio non ne ho la più pallida idea, confusi come sono tra le interpretazioni d’attore vere e proprie e le tipiche prestazioni da cascatore”.  Ricorda, in fondo,  che quei film, soprattutto quelli del primo periodo, riguardano in pieno la sua giovinezza, “a quanno avevo “il fisicaccio” sussurra poi sorridendo.

 2 Il pistolero segnato da DioL’avventura nel cinema di Giovanni Cianfriglia comincia dopo l’incontro in palestra con Steve Reeves, il formidabile eroe del cinema mitologico degli anni sessanta. Dice Giovanni Cianfriglia: “Steve Reeves capitò ad Anzio nella palestra che frequentavo in quei tardi anni cinquanta. Vedendomi allenare con tanta foga, capirai avevo venti anni, Reeves si avvicinò e mi chiese se per caso poteva esserci l’ intenzione, perché mi vedeva perfetto, a diventare la sua controfigura in un mitologico che stavano per iniziare a girare nella  riserva di Tor Caldara, qui ad Anzio. Io non ci misi molto ad accettare, anche perché il lavoro di  “bagnino”,  che svolgevo in quel periodo, non è che poi poteva regalarmi un futuro radioso. E così mi ritrovai proprio  contento in quel set, sotto la regia di Pietro Francisci, il titolo lo ricordo bene,era “Le fatiche di Ercole”, proprio il mio primissimo set”.  Dopo, uno dietro l’altro, sono venuti tantissimi titoli fino appunto a riempire la sua filmografia di oltre cento titoli.  E spesso erano film anche, diciamolo pure, piuttosto dozzinali,  realizzati piuttosto per inseguire un titolo, per sfruttare fino al midollo una idea produttiva, rientravano quasi tutti nella dimensione della quantità piuttosto che in quella della qualità, ma era appunto questa prerogativa ad assegnare a queste pellicole la capacità di essere “famiglia”, di far sentire il pubblico “come a casa”, i produttori spesso incitavano i registi dicendo loro “portatemi un titolo ed io ci faccio un film”. Dice Giovanni Cianfriglia: “I produttori dei nostri film erano tutti dei gran simpaticoni. Avevano uffici nelle zone ricche di Roma ma loro non avevano una lira, dicevano qualsiasi cosa con una certa nonchelance, anche “ragà, facciamo sto film ma nun ce sta una lira. Il regista che davvero ha creduto per primo nelle potenzialità di attore di Giovanni Cianfriglia è stato Sergio Corbucci: “per il film “Navajo Joe” Sergio voleva me come protagonista. Per questo nel 1966, l’anno di realizzazione del film, mi portò al cospetto del produttore del  film, il potente Dino De Laurentiis, che però aveva in testa un altro nome, più famoso e più americano, Burt Reynolds. Come si dice vince sempre chi porta i soldi e così Sergio Corbucci, poveretto, di fronte alla produzione forte ha dovuto fare “pippa”, come diciamo noi a porto d’Anzio, ed ingoiare …”. Ma certo fu un periodo speciale quello vissuto da Giovanni Cianfriglia in quei tardi anni sessanta. Dice Giovanni Cianfriglia: “in quegli anni c’era una grande voglia, anche tra i grandi autori del cinema italiano, di fare il loro spaghetti-western. Io un giorno si e l’altro pure incontravo qualcuno che mi diceva, sai in quel tempo  non c’erano ancora i telefonini, guarda che c’è Giuseppe De Santis che vuole fare un western e sta pensando a te, oppure Gillo Pontecorvo si è invaghito di un progetto western e fa il tuo nome per il cast, tutti registi di un certo peso culturale nel cinema d’autore italiano di quei tempi memorabili, ma poi, in  conclusione, sono un po’ come fuggiti dall’intraprendere questa impresa. Ma ci hanno pensato ed hanno attivato anche le produzioni”.  Anche Francesco Rosi ricordiamo fu tentato dal genere spaghetti ed infatti non è un caso che realizzò il suo capolavoro “Salvatore Giuliano” proprio con gli stilemi e con i ritmi accesi  tutti poi ritrovati nel genere western. Anche Pier Paolo Pasolini ne fu coinvolto e cavalcò il genere western  come attore nel film  “Requiescant” diretto da Carlo Lizzani, un altro regista di culto autorevole nel cinema italiano.  E “Requiescant” non resta l’unica opera del genere western per Carlo Lizzani perché subito dopo    realizzò ancora un’ulteriore spaghetti, “Un fiume di dollari”.  Federico Fellini e Michelangelo Antonioni poi  hanno per anni accarezzato una loro idea western e Federico Fellini in ogni caso era anche riuscito, nel 1968, a  lavorare nel genere con l’episodio “Toby Dammit” per il film “Tre passi nel delirio”, un film girato a più mani, realizzato con la complicità di Louis Malle e Roger Vadim.  L’episodio di Fellini poi raccontava la storia di una star americana arrivata a Roma proprio per girare un film western. Fellini per l’episodio riuscì a girare una intera sequenza western ma poi, purtroppo, la sequenza al montaggio venne bocciata poiché forse ritenuta eccessiva. Comunque al di là dell’episodio di Fellini, grazie alla lavorazione di questi “dozzinali” western scendevano davvero a Roma, in quei primi anni sessanta, proprio per lavorare come attori, quelli che erano ancora i miti  del cinema americano come Orson Welles e John Huston, per non parlare anche di un giovane Clint  Eastwood, oggi un maestro ma in quegli anni tutto dedito ad imparare dai  set di Sergio Leone. Poi più tardi scesero a Cinecittà anche Henry Fonda e Charles Bronson, loro si, tentati dal mito di  Sergio Leone. Certo non era facilissimo, da Anzio poi, riuscire a calcare tutti quei set, ma a Giovanni Cianfriglia l’impresa era riuscita. Così come era riuscita al fratello Domenico, stuntman anche lui, che è stato un volto prevalente del mondo dei cascatori italiani dei film di genere degli anni settanta. Anzi c’è da dire che Giovanni nonostante il sano e leggero divismo che poteva nascere, e che un po’ era anche nato, legato al nome esterofilo di Ken Wood e al suo successo, l’ha sempre vissuta, questa  potenzialità, con  una grande serenità, senza mai perdersi davvero d’animo, e senza nemmeno prendersi troppo sul serio, come capitava a molti “divi” del periodo aureo del cinema italiano. Giovanni Cianfriglia ha preso l’idea  del suo successo proprio con tutta la filosofia possibile, proprio con la migliore sensibilità che gli viene, come  ha detto, tutta “dal mare di porto d’ Anzio”.

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