LA STAGIONE MAGICA DEL CINEMA DI GENERE ITALIANO, QUELLO ALTRIMENTI DETTO DEL B-MOVIE: NE PARLIAMO CON IL REGISTA SERGIO MARTINO E LO SCENEGGIATORE ERNESTO GASTALDI
di Giovanni Berardi
Ha ragione Marco Giusti quando dice che nel cinema di genere, e proprio in quello più scalcinato o genuino, c’è passata la vita migliore. Esattamente la nostra, quella della generazione che oggi è intorno, in eccesso o in difetto, ai sessanta – sessantacinque anni. Noi vogliamo partire da questa premessa per circoscrivere sommessamente la stagione, oggi assorta anche a fenomeno, del cinema di genere in Italia, si insomma del cosiddetto b-movie. Anzi noi pensiamo che la vita, in qualche maniera, continua a passarci nel b-movie italiano, in modo meno intimo senz’altro, perché le giovani e le giovanissime generazioni, una volta che l’hanno scoperto e conosciuto, hanno preso ad amarlo e a seguirlo nella condizione a loro possibile, l’uso dei dvd, dei canali telematici, del computer, del metodo streaming, così tanto da fare diventare quei titoli, oggi, dei cult-movie leggendari. Quello di cui però le giovani generazioni di spettatori saranno senz’altro orfani é il rito collettivo della sala, assolutamente indispensabile e protagonista per la felicità cerebrale degli spettatori del tempo, una sala che é assolutamente da rimpiangere, dal costo di pochi spiccioli, sempre e completamente avvolta dal fumo di sigaretta, con le pareti scrostate, con i tendoni di stoffa pesante, ingrigiti e puzzolenti, con le sedie in fila, tutte precise e di legno, assolutamente graffiate in platea, e con le sedie imbottite di soffice gomma, ma regolarmente sventrate, in galleria. Si perché nei tempi del trionfo del b-movie le sale erano divise in platea e galleria, ed esisteva anche una differenza nel costo del biglietto di entrata, leggermente più alto, ma di pochi spiccioli, quello in galleria: si presumeva forse più comoda la galleria, sicuramente per via delle sedie imbottite, ma come detto, all’uso sempre e volentieri sventrate. Ebbene, tutto questo, dalla fine degli anni cinquanta, e per tutto il decennio dei sessanta e settanta, significava l’industria vera del cinema italiano. Come rimanda il regista Sergio Martino, uno dei maestri nobili del genere: “i nostri film, anche quelli più dozzinali erano sempre realizzati con il cuore in mano, e lo dico con la coscienza più tranquilla di questo mondo. Hanno segnato, in
quella stagione cinematografica italiana, un momento davvero storico: hanno determinato il periodo in cui erano i nostri film quelli che venivano esportati in tutto il mondo ed alimentavano i mercati”. Intanto Ernesto Gastaldi, sceneggiatore tra i più importanti e prolifici, conferma ed ammette: “il cinema di genere è stato il vero ed unico supporto del cinema italiano, è stata davvero la sua colonna vertebrale. Poi quando questo cinema è sciamato, guarda un po’, è proprio crollata l’industria del cinema”. Continua Ernesto Gastaldi: “alcuni anni fa, ad esempio, ed è un ricordo che porto spesso nei dibattiti su questi temi, proprio per ricordarne il fenomeno, esattamente due giorni dopo la morte del regista Antonio Margheriti, il bravissimo Anthony M. Dawson, in un convegno sul cinema organizzato dalla rivista Gulliver, presenti tra l’altro molti autori del cinema italiano, in questo momento mi sovviene Francesco Maselli tra i presenti, ebbene nessuno di questi si era speso per accennare, anche brevemente, al ricordo ancora così fresco, della scomparsa di Antonio Margheriti. Nessuno di loro ricordava che, se in quegli anni erano riusciti a fare dei film, notevoli senz’altro ed anche importanti, lo dovevano, in primo luogo e certamente, agli incassi che riscuotevano le opere “dozzinali” che firmavano registi come Margheriti e come Mario Bava, Lucio Fulci, Riccardo Freda,
Sergio Corbucci, tutti talenti illuminati e creativi del cinema italiano ma assolutamente snobbati. E qui mi taccio perché penso di avere inquadrato il fenomeno”. Continuiamo a tenere come esempio Ernesto Gastaldi, la sua filmografia nel settore è sterminata e lungimirante, talmente e assolutamente emblematica da racchiudere largamente il fenomeno b-movie, non c’è stato insomma campo letterario, adattato al cinema, situazione comica, avventurosa, fantastica, fantascientifica, storica, poliziesca, western o dell’orrore dove Ernesto Gastaldi, con la sua fantasia verace, con la sua storica cultura e con il suo umorismo, non si sia cimentato e confrontato: “L’amante del vampiro”, “I mongoli”, “Marte Dio della guerra”, “Duello nella Sila”, “La frusta e il corpo”, “La cripta e l’incubo”, “Che femmine e che dollari”, “Divorzio alla siciliana”, “Pesci d’oro e bikini d’argento”, “Perseo l’invincibile”, “Ursus nella terra di fuoco”, “Golia e il cavaliere mascherato”, “Buffalo Bill l’eroe del Far West”, “Le spie uccidono a Beirut”, “La decima vittima”, “Sette contro tutti”, “Furia
a Marrakeck”, “Duello nel mondo”, “La lama nel corpo”, “A 077 Sfida ai killers”, “Delitto quasi perfetto”, “Flashman”, “Arizona Colt”, “Troppo per vivere poco per morire”, “La battaglia di El Alamein”, “Il dolce corpo di Deborah”, “Sono Sartana il vostro becchino”, “ Foto proibite di una signora per bene”, “La morte cammina con i tacchi alti”, “Morte sospetta di una minorenne”, ”I corpi presentano tracce di violenza carnale”, “Lo strano vizio della signora Wardh”, “Arizona si scatenò e li fece fuori tutti”, “La coda dello scorpione”, “Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?”, “Tutti i colori del buio”, “L’uomo senza memoria”, “Si può fare amigo”, “Anna quel particolare piacere”, “La città gioca d’azzardo”, “Il mio nome è Nessuno”, “Fango bollente”, “La pupa del gangster”, “Il cinico l’infame il violento”. Titoli che a sentirli oggi, così in fila uno dietro l’altro, ti fan venire una irrefrenabile voglia di ridere e di piangere per la gioia, perché con questi titoli le sale dei cinema erano davvero frequentate ed il cinema diventava o restava in primo luogo, semplicemente e senza mezzi termini, esattamente: passatempo, abitudine, trasgressione, relax. In definitiva è assolutamente il cuore a rivalutare continuamente il b-movie. Ma sono molte le caratterizzazioni influenti del b-movie italiano e spesso anche dai perfetti limiti pruriginosi:le commedie interpretate da Lando Buzzanca o da Carlo Giuffrè negli anni settanta e sciorinate attraverso le beltà emblematiche di Laura Antonelli, Rossana Podestà o Barbara Bouchet, ed anche poi attraverso le varie dottoresse, insegnanti, infermiere, liceali o compagne di banco a cui prestavano le loro bellezze genuine Edwige Fenech, Gloria Guida, Anna Maria Rizzoli, Lilli Carati, Nadia Cassini, Jenny Tamburi, Dagmar Lassander, sempre circuite dagli arrapati cronici Renzo Montagnani, Lino Banfi, Alvaro Vitali, Mario Carotenuto, Lucio Montanaro,
non ultime le varianti horror-splatter spesso firmate Lucio Fulci e Joe D’Amato, ed anche le bizzarrie comico-funanboliche della coppia Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, e loro proprio a cavallo degli anni sessanta-settanta e la larga parentesi del western all’italiana consolidata in Italia da Sergio Leone nel 1964 con il suo “Per un pugno di dollari”, che ha generato poi per la produzione italiana la realizzazione di un centinaio di film western a partire dall’immediato trionfo di Sergio Leone per poi scivolare dopo il declino di questi, intorno agli anni 1966-1967 nella lunga saga dello spy-story all’ italiana nata dal grande cinema “bondiano” di 007. Giganti assoluti poi tutti i nostri autori ed interpreti che hanno dato vita a questi fenomeni. Da considerare poi che, prima dell’avvento del filone western e di quello dello spy-story, l’industria del cinema italiano macinava spettatori e spettatori attraverso le mitiche gesta dei vari forzuti, quali Taur, Brenno, Golia, Ercole, Sansone, Maciste ed Ursus chiamati ad interpretare situazioni tra le più avvincenti, spettacolari e imprevedibili.
Va da sé che, da più parti, nei nostri incontri abbiamo riscontrato veramente solenni nostalgie sulla fine del fenomeno b-movie, anche dolorose e sincere. Sergio Martino ad esempio ricevendoci sulla porta e nell’accompagnarci nel suo ufficio si lasciava andare alla nota di rammarico: “é triste constatare ormai, giorno dopo giorno, il crollo dell’industria del cinema più popolare”, un rammarico comunque comune e frequente tra i registi della generazione di Sergio Martino. Le nostre interviste, al loro cospetto, si aprivano sempre e davvero con questo rammarico. E’ capitato con Umberto Lenzi, Alberto De Martino, Tonino Valerii, Ruggero Deodato, Enzo G. Castellari. Erano insomma proprio così, scacciapensieri, le grandi e popolari stagioni del cinema italiano, assolutamente di questa identità, e si erano consumate in fondo tra gli anni del cosiddetto boom economico, ed anche nel tempo pieno del periodo che era stato chiamato della strategia della tensione, tra la fine degli anni cinquanta insomma e per tutto il decennio degli anni sessanta e settanta, tra la morte del movimento del neorealismo cinematografico e la consacrazione ed il declino della commedia all’italiana verace, e decisamente nel momento in cui il potere degli autori più classici, quello di Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi era valorizzato anche dal grande pubblico, si dal pubblico più popolare. Ma insomma, oggi possiamo ben scriverlo, nella conclusione di oggi: mai pensavamo, almeno sino a tutto il decennio degli anni novanta, che un giorno “W la foca” di Nando Cicero, figurasse nel cartellone della mostra internazionale del cinema di Venezia. Eppure è successo, per “W la foca” e per tanti altri titoli del genere. Nando Cicero, pensate, e dunque anche Tinto Brass, Ferdinando Baldi, Giorgio Ferroni, Fernando Di Leo, Luciano Salce, Piero Vivarelli, Riccardo Freda, Sergio Bergonzelli ed altri similari, assolutamente schierati al fianco di Michelangelo Antonioni, Steven Spielberg, Wim Wenders, Claude Chabrol, Mira Nair, Amos Gitai ed altri, ancora similari.
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