RICORDO DI MARIO FERRARESE, IL SIGNORE DELLA CULTURA PONTINA

Giovanni Beraredi

…no, io noDSCN0476n direi proprio così…”.  Ognuno di noi si attacca ad un intercalare,  Mario Ferrarese  ribadiva in questi termini,  “no, io non direi proprio così…”  il suo dissenso al nostro preciso concetto, sempre contrario, ma senza autorità, senza arroganza estrema.  Mario Ferrarese è morto il 28 agosto 2006, in una giornata di grande calura. Ora, a ben otto anni dalla sua morte, manca sempre di più al mondo culturale pontino la sua straordinaria vitalità, il suo entusiasmo, la sua carica.  Personalmente manca il suo sorriso, la sua simpatia, la sua disponibilità, quando talvolta lo si incontrava in giro, rigorosamente a piedi, per le vie della città, nel suo solito tragitto quotidiano, zona Morbella-teatro comunale, dove aveva sede il suo ufficio di segretario del premio Latina per il libro tascabile.  Mentre tanti fanno finta di non vederti, lui non ti faceva mai mancare il suo sorriso ed il suo cenno, lui sempre con la cartella piena di documenti e di appunti, che non abbandonava in nessuna occasione. Difficilmente accettava un passaggio in automobile, questo poteva accadere solo quando il tempo minacciava una pioggia imminente e di dimensioni temporalesche. La pioggerellina invece non gli intimava nessun timore, nessuna tristezza.  Anzi il poeta che c’era in lui, pensiamo, si abbeverava e cresceva alla pioggerellina d’autunno ed in quella di primavera.  Diceva:  “la pioggia, così come il sole, bellissimo, sono nutrizioni assolute per le sensibilità umane…”.  Ed in questo si coglieva tutto il suo ottimismo, il suo rispetto, la sua gioia soprattutto nei confronti degli esseri umani.  Da giornalista sapeva che per scrivere occorreva mestiere, per questo si prodigava alquanto affinché fiorivano nella zona tanti giornali locali.  Diceva: “non c’è apprendistato migliore del collaborare ad un qualunque giornale…”  Ho conosciuto Mario Ferrarese nel 1983, ne ero e ne rimango un ammiratore.  Mi disse che lo scrittore, così come il giornalista, deve essere anarchico, usava proprio la parola anarchico e non libero ad esempio, altrimenti esaurisce gli spazi creativi per divenire o servo di un partito o sguattero di regime.  Detto questo mi ha guardato nella maniera in cui viene spontaneo pensare che questa convinzione non era del tutto realizzata.  “per la passione…”  aggiunse   “dobbiamo accettare anche tanti compromessi”.  Mario Ferrarese era un uomo davvero semplice, di concetti estremamente semplici e liberi e di parole altrettanto semplici,  osa rara negli intellettuali, soprattutto in provincia,  era sempre pronto a fingere di non avere letto molti libri,  sempre pronto a cancellare le orme dei suoi passi nel mondo delle lettere,  troppo discreto per esibire i suoi pensieri, troppo modesto per credere che i lettori avessero bisogno di lui.  Incontrandolo, quasi sempre per caso, bastava semplicemente dirgli:  “allora Mario, come va?…”  e lui ti stava a sentire.  Chissà per1174435130_cf6577358a1ché, ma non aveva mai fretta, cosa rara anche questa negli intellettuali, soprattutto in provincia.  Non credo che lui l’abbia mai saputo ma solo con Mario Ferrarese, improvvisamente intendo,  si era chiarito nettamente un concetto che mi frullava sempre nella mente secondo la quale la vita e le lotte di un artista restano decisamente sempre inseparabili dalla sua opera.    Conoscendo la mia cinefilia un giorno rivelò anche la sua competenza ed il suo interesse nel campo del cinema:  “chi vuole conoscere in modo penetrante la crisi dei nostri anni attraverso il cinema non può non rivolgersi essenzialmente a quattro autori: Carl Theodor Dreyer, Luis Bunuel, Robert Bresson, Ingmar Bergman”.  Diceva:  “…le lucide immagini forniteci da tutti e quattro danno la visione della solitudine e del dolore presente nella vita dell’uomo contemporaneo. Tutti e quattro poi tendono sempre a ricordarci di Dio…”.Perdo proprio il conto ormai delle volte che con Mario Ferrarese abbiamo parlato di film, di registi, di attori.   Mario Ferrarese scriveva molto,  il suo scrivere era finanche parco e segreto, scriveva di storia, molto, soprattutto locale, ma amava molto anche interagire in altri settori delle lettere.  Chissà quanti fogli avrà riempito e che non sono mai apparsi davanti agli occhi dei lettori. Non so nemmeno se distruggesse quel che scriveva o semplicemente riponesse via per tempi più adatti.  Negli ultimi anni della sua vita era ritornato a lavorare per il premio Latina della Saggistica,  “ma solo in termini di sola collaborazione”  amava umilmente dire.  Con Mario Ferrarese si conversava spesso a ruota libera,  spesso di argomenti religiosi, e quello che lo infastidiva era proprio la brevità della vita dell’uomo. Diceva: “…per conoscere qualcosa di profondo dalla vita bisognerebbe vivere almeno trecento anni,  invece si vive molto meno…”.  Rivedo, attraverso questo ricordo, i suoi occhi buoni e profondi e l’atteggiamento distratto e triste. Un giorno mi salutò dicendomi:  “nella professione culturale o giornalistica il talento da solo non basta, ci vuole anche grinta, molta grinta, ed esuberanza, molta esuberanza, e molta onestà, anzi nessuna…”.  In me, forse, queste qualità   (ma le considerava davvero qualità?…)  non le vedeva affatto.  Forse per questo mi stava davvero a sentire.

1 Commento su RICORDO DI MARIO FERRARESE, IL SIGNORE DELLA CULTURA PONTINA

  1. Ciao sono Francesco il figlio di Mario. Casualmente leggo il tuo articolo e. …. come dire una meravigliosa ed inaspettata sensazione di gioia.
    Grazie e spero di aver modo di conoscerti
    Francesco Ferrarese

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