LA TERZA CULTURA, PRESENTAZIONE DELLA RUBRICA

di Francesco Giuliano

Oggi, c’è un difficile rapporto tra le scienze umane e le scienze propriamente dette, perché le prime sono proiettate verso il passato, arroccate in un mondo isolato fatto di “sapienza” non-empirica che dà della vita una visione pessimistica, mentre le seconde, grazie a tutte le straordinarie scoperte che hanno permesso e permettono di ottenere continuamente e al conseguente ampliamento della conoscenza e alla relativa diffusione di essa, proiettano l’umanità verso il futuro secondo una visione ottimistica. Una rivoluzione in atto, dunque, che sta portando l’uomo a vedere non solo il macrocosmo in cui vive ma anche il microcosmo di cui è fatto, a cambiare continuamente il modo di vedere la vita e di interpretare il mondo e l’universo. Le vecchie entità e i loro mezzi che governavano l’umanità sono in crisi. Nel 1991, John Brockman, presidente della Edge Foundation, in un saggio dal titolo The Emerging Third Culture, scriveva “Negli ultimi anni il campo di gioco della vita intellettuale americana si è spostato e l’intellettuale tradizionale ha assunto un ruolo sempre più marginale. Un’istruzione in stile anni Cinquanta, basata su Freud, Marx e il modernismo, non è una qualifica sufficiente per una testa pensante del giorno d’oggi. Di fatto gli intellettuali tradizionali americani sono in un certo senso sempre più reazionari e spesso fieramente (e perversamente) ignoranti di molti significativi conseguimenti intellettuali della nostra epoca. La loro cultura, che disdegna la scienza, è spesso non empirica. Utilizza un proprio gergo e lava in casa i propri panni (più o meno sporchi). È perlopiù caratterizzata da commenti di commenti, e la spirale di commenti si dilata fino a raggiungere il punto in cui si smarrisce il mondo reale”.(da John Brockman – I nuovi umanisti – Garzanti, 2005). In quella vita intellettuale tutto ruota attorno alla parola spesso priva di fondamento. Si prospetta necessariamente, per questo, l’avvento di una “terza cultura” in cui gli umanisti pensano come gli scienziati e gli scienziati come gli umanisti, perché in fondo ciò che accomuna gli uni agli altri sono i sentimenti che esprimono e la passione che mettono nel loro lavoro. Cambia il substrato di ricerca, ma ciò che opera è sempre e soltanto la mente umana. È in atto un nuovo umanesimo!

In questa rubrica, dal titolo “La terza cultura”, saranno proposti articoli in cui non si evidenzierà alcuna separazione tra la cultura umanistica e quella scientifica che ha creato e crea dei compartimenti stagni “culturali” dannosi, perché questi costituiscono un freno allo sviluppo della conoscenza a livello individuale e alla risoluzione dei problemi collettivi.

Oggi, dunque, che la Scienza, frutto del pensiero dialettico (non è un caso che il metodo scientifico abbia ripreso il suo cammino nel XVII secolo, dopo un letargo di circa duemila anni, grazie non solo a Galileo Galilei ma anche al ripristino della filosofia epicurea, fautrice della libertà di pensiero, che subentrò prepotentemente alla filosofia aristotelica che invece ne era stata inibitrice), sta progredendo esponenzialmente, penso che uno dei mali peggiori sia l’uso del dogmatismo, ovvero l’utilizzo di un’educazione di stampo catechetico che insegna ad obbedire, a eseguire ciò che viene comandato e impedisce all’individuo, sin dai primi anni di vita, di pensare in modo autonomo e creativo. Il dogmatismo porta l’individuo, di fatto, ad acquisire, sin dalla tenera età, insegnamenti e precetti che gli vengono “imposti” come verità assolute, indiscutibili, inoppugnabili. Ciò lo condiziona e gli chiude la mente rispetto all’indagine di nuove frontiere speculative, a causa della categorizzazione del lavoro di un determinato settore, dove egli è costretto a “ripetere”, anche se apparentemente diversificato, per tutta la sua vita, ciò che gli è stato insegnato. Conseguentemente si crea una voragine tra i progressi scientifici e il suo livello di conoscenza. “Ripetere” non significa “creare” cose nuove, ma vuol dire produrre cose con stampo predeterminato e inibire l’ingegnosità. (Francesco Giuliano)

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