CINEMA ITALIANO E LATINA: LA STRADA STATALE 148 ELEMENTO ISPIRATORE DEL FILM “IL VERO E IL FALSO” DI ERIPRANDO VISCONTI

Giovanni Berardi

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Fu in uno dei continui viaggi,  da Roma a Sperlonga,  per raggiungere la villa al mare dello zio  Luchino,  che il regista  Eriprando Visconti  prese conoscenza con l’austero, come il regista lo definiva allora, territorio pontino. La strada statale 148,  confidò il regista,  lo colpì molto.  Soprattutto quello che vedeva ed immaginava oltre i bordi, intere pianure e casolari, baracche, capanne, attrezzi agricoli, tanti animali da cortile che vedeva starnazzare quasi al limite dell’arteria.  Era ancora il 1971,  la strada non era ancora certamente la pontina attuale. Quella strada si rivelò, qualche mese dopo, l’elemento ispiratore del suo film,  Il vero e il falso,  che il regista  Eriprando Visconti girò interamente nella campagna tra Borgo Piave, Cisterna, Aprilia e la stazione ferroviaria di Latina.  Il ricordo particolare che abbiamo per il film è anche legato ad un fatto personale: giorni e giorni di seghe a scuola necessarie per raggiungere il set allo scalo e a Cisterna. Fu una grande emozione conoscere da vicino  Terence Hill,  il protagonista del film,  che aveva appena smesso i panni diventati poi famosi di Trinità, e lui non era ancora l’attore famosissimo che sarebbe diventato solo qualche mese più tardi.  Fu talmente gentile Terence, che nei continui momenti di pausa  (ricordo Eriprando Visconti come un regista esigentissimo)  rifaceva per noi ragazzini  (eravamo in tanti a raggiungerlo allo scalo)  le gesta scanzonate del simpatico cowboy.  Il regista Eriprando Visconti invece,  incontrato poi qualche anno dopo,  rammentò, come avevamo già ampiamente capito,  che  “fu proprio cosi, un esempio concreto di come qualche volta è un panorama incontrato più volte in un determinato periodo,  ad ispirare quella che sarà la trama in divenire di un film…”.   Poi, a ben guardare,  Il vero e il falso  resta nella filmografia del regista un film decisamente atipico, personalissimo, quasi una  testimonianza della autenticità di un periodo, l’anno a cavallo tra il 1970 ed il 1971, anni di grandi instabilità sociali e culturali, che potevano benissimo porgere le intenzioni degli intellettuali più giovani anche verso strade e momenti di forte inadeguatezza, di incomprensioni,  anche di fallimenti, o almeno, vissuti come tale. In questi termini concettuali si esprimeva il regista Eriprando Visconti quando poi gli abbiamo, anni dopo, ricordato la cosa ed il periodo. La trama generale de  Il vero e il falso  rispecchiava nel suo regista certamente quello che è stato un suo periodo profondo di transizione, di ricerca, di conferma, una trama che sostanzialmente testimoniava anche un risvolto pirandelliano, la chiave pirandelliana dell’uomo confuso. Perché il film analizzava un processo,  dimostrava che quando si rimane vittima di un procuratore disonesto  (o, allargando la tesi, di uno stato o di una cultura politica), con le procedure di istruttoria decisamente carenti e fortemente succubi della burocrazia amministrativa, si può essere condannati due volte per lo stesso delitto, anche se poi il delitto non è mai stato effettivamente commesso.  In questa trama i critici trovarono vistosi difetti, marcarono il mancato equilibrio tra lo spete5cf760bbf709c6d7b20093a2e419ec8_origtacolo popolare e la denuncia alla Francesco Rosi.  Invece il regista,  come ci ha spiegato in seguito Eriprando Visconti,  prendeva proprio le distanze dagli attori, dai protagonisti, dalla trama. Voleva solo raccontare il territorio calpestato dalla macchina, proprio la sabbia, il fango, anche gli escrementi degli animali, i casolari che si affacciavano all’orizzonte, la campagna intorno a Roma e a Latina, la vita davvero ancora soprattutto rurale interrotta dalla lunga arteria che da Latina conduceva, e conduce all’Eur. Voleva, in altri termini, quasi raccontare,  attraverso l’arteria statale 148, la lontananza da una forma  (corrotta?)  di civiltà

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