“DJANGO E GLI ALTRI. MOLTE STORIE, UNA VITA”. IL LIBRO DI FRANCO NERO

di Giovanni Berardi

Berardi Nero (1)Avevamo parlato anche a Fondi di Franco Nero. E proprio con il regista Florestano Vancini che lo aveva diretto  nel film “Mussolini ultimo atto”.  Correva l’anno 2009 e Franco Nero era a Fondi per presentare, nell’ambito  della VIII edizione del FondiFilmFestival, il film di Tamas Almasi “Mario il mago”. A Lizzani venne proprio    da ridere, quella sera, e proprio a squarciagola, nel ricordare l’episodio accaduto con Nero e con Rod Steiger, l’altro attore protagonista della pellicola, durante la lavorazione del film. “Steiger si era permesso” ricordava Carlo Lizzani  “con la complicità certo di Franco, e senza dirmi nulla, di cambiare in scena un passo della sceneggiatura, facendomi letteralmente sbottare, io che di solito sono sobrio con le parole:       “… ma che cazzo sta dicendo …”.  E l’episodio ricordato da Lizzani lo abbiamo anche riscontrato in un capoverso del libro  “Django e gli altri. Molte storie, una vita” che l’attore ha scritto, con la collaborazione   del giornalista Lorenzo De Luca, e che ha mandato in questi giorni in libreria. L’attore nel suo libro annota: “nel film di Lizzani l’improvvisata non c’è. Non ricordo ora se fu tagliata al montaggio o se abbiamo rigirato   la scena, perché dalla lavorazione di quel film sono passati ormai troppi anni”. Come si evince dunque “Django e gli altri. Molte storie, una vita”  è pieno di aneddoti piccoli e grandi, spesso divertenti e che riguardano quasi sempre le complicate ma felici giornate trascorse sui set durante la lavorazione dei suoi film. Franco Nero conta nella sua filmografia oltre cento film, molti proprio da storia del cinema, altri invece da raggiunti e riconosciuti obiettivi popolari.  Franco Nero, e lo diciamo senza giri di parole, rappresenta in pieno quello che è stato il miglior cinema italiano, rappresenta in pieno perfettamente l’intero decennio dei settanta, che lo ha visto balzare niente meno che da un posto all’altro del mondo.la copertina di Django e gli__ altri di Franco Nero

Franco Nero è un attore che personalmente ho sempre amato. Nel mio animo è colui che rappresenta davvero il cinema italiano nella sua interezza. Da bambino mi ha letteralmente stregato con due film capisaldi, “Il giorno della civetta” di Damiano Damiani e  “Sequestro di persona”  di Gianfranco Mingozzi.     In entrambi i film giganteggiava un memorabile e bellissimo Franco Nero. Da lì Franco Nero restò fisso    nella memoria della adolescenza. Dopo altri due film superlativi si incisero nella mente “Confessione di un commissario di polizia al procuratore capo della Repubblica” e “L’istruttoria è chiusa: dimentichi”, entrambi girati ancora con la regia di Damiano Damiani. Ma non finiscono certo qui quelle incisioni: “Il cittadino si ribella”  di Enzo G. Castellari, “Perché si uccide un magistrato” sempre con Damiano Damiani fino ad arrivare a “I guappi” di Pasquale Squitieri e “Marcia trionfale” di Marco Bellocchio. Ma in mezzo, prima          e dopo, la filmografia di Franco Nero si arricchisce di titoli sempre più prestigiosi. E l’elenco, certamente parziale, va semplicemente sviscerato, perché il gioco dei titoli è anche, forse soprattutto,  il fulcro del      libro: “Il mercenario” di Sergio Corbucci, “Un detective” di Romolo Guerrieri, “Gott Mit uns (Dio è con noi)”    di Giuliano Montaldo, “Tristana, una passione morbosa” di Luis Bunuel, “Vamos a matar companeros” di Sergio Corbucci, “Zanna Bianca” di Lucio Fulci, “Corruzione al palazzo di giustizia” di Marcello Aliprandi, “Cipolla Colt” di Enzo G. Castellari, “Gente di rispetto” di Luigi Zampa, “Profezia di un delitto” di Claude Chabrol, “Scandalo” di Salvatore Samperi, “Keoma” di Enzo G. Castellari, “Autostop rosso sangue” di Pasquale Festa Campanile, “Sahara Cross” di Tonino Valerii, “Un dramma borghese” di Florestano Vancini, “Le rose di Danzica” di Alberto Bevilacqua, “Il cacciatore di squali” di Enzo G. Castellari, “Il bandito degli occhi azzurri” di Alfredo Giannetti, “Querelli De Brest” di Rainer Warner Fassbinder.  Dal libro, che pagina dopo pagina, diventa anche una feroce autoanalisi, come tutte le vere autobiografie d’altronde in cui davvero si fanno i conti con l’uomo e con il suo alter ego, che poi nel caso di un attore questo alter ego diventa quasi naturale e prende anche il sopravvento, si evince quello che rimane un dato preciso del carattere di Franco Nero, e che noi, in qualche maniera, imparandolo a conoscere nel tempo, prima sullo schermo poi, come    nel caso particolare, anche nella vita, abbiamo gli estremi per poterlo confermare. Questo aspetto del suo carattere, quello di essere certo un baston contrario, il libro lo affronta e lo esaurisce benissimo nell’episodio che racconta l’incontro con il regista Enzo G. Castellari capitato sul set del film “Los Amigos” di Paolo Cavara. Un’ invito che era stato proprio  insistente da parte della parrucchiera di scena Giusy Bovino, in   quel tempo indaffarata davvero con i riccioli di Franco Nero. Un invito pronunciato quasi ogni giorno come una supplica, tanto che Franco Nero in qualche maniera acconsentì. Franco Nero racconta così l’incontro: “Enzo venne sul set del film  “Los Amigos”  agli studi Elios, nella periferia romana, gli stessi che avevano visto il mio esordio da pistolero in  “Django”  e mi spiegò con tutto lo zelo possibile il film che voleva fare   con me, gesticolando e parlando come se lo stessimo già facendo. Mimava le scazzottature, le sparatorie, ma in  quel momento l’unica scazzottata che vedevo era fra il suo straripante entusiasmo e la mia timidezza. Castellari si era tolto il giacchetto perché faceva caldo, evidenziando i bicipiti possenti, i pettorali squadrati, insomma pareva più un boxeur  che un cineasta tanto da pensare: ”per te non lavorerò mai”. Noi timidi siamo fatti così, più uno ci soverchia con la sua vivacità, più ci chiudiamo. Mi salutò con una stretta di mano energica e se ne andò. Nemmeno io insomma gli ero rimasto granché simpatico”.   E Franco Nero, subito dopo  “Los Amigos”, gira con il regista Florestano Vancini, regista decisamente molto meno stratosferico     di Carlo Lizzani, “Mussolini ultimo atto”.  Franco Nero continua a descrivere così il suo incontro con Castellari: “frattanto il regista che pareva un pugile aspettava la mia risposta. Stavo per comunicargli il mio no quando accadde un fatto che giocò in suo favore: un altro regista che in quel periodo mi voleva per girare un suo  film commise due errori, il primo fu di pensare che avessi già accettato di girare con Castellari, il secondo fu di parlarmene male per vendetta:  “ma che vai a fare un film con quello là? Ma sei matto?  Quello sa dirigere solo gli stuntman, sa fare solo i western, non è un regista degno del tuo nome, sono meglio io”.  L’ho detto che sono un baston contrario”.   Il resto è storia di oggi e con Enzo G. Castellari Franco Nero è riuscito a girare ben dieci film e di diventarne anche, soprattutto, un grandissimo amico.

A Sabaudia poi Franco Nero lo ricordano sempre, a Sabaudia così come a Terracina, l’attore è davvero      di casa. Sabaudia è stata scenario di un episodio anche divertente, che Franco Nero ama ricordare, tanto  da averlo citato anche nelle pagine del suo libro.  L’episodio riguarda proprio il periodo in cui nelle sale trionfava il film  “Il cacciatore di squali”.  locandina film Il cacciatore di__ squaliDice Franco Nero: “quando a Sabaudia mi immergevo per fare pesca subacquea, capitava che la gente sulla spiaggia, specialmente i ragazzi che avevano visto il film,     mi additassero divertiti, anche sfottendomi: guardate c’è il cacciatore di squali. Però c’era sempre qualcuno pronto ad aggiungere: ma quale squali, è il cacciatore di sardine. Però cessarono di sfottermi il giorno in cui riemersi con una spigola di cinque chili”. Sabaudia è stato ed è ancora il buon ritiro dove Franco Nero può assolvere davvero i brandelli del suo tempo libero, come Velletri è il suo ritiro di campagna, lontano cioè dalle traversie, dallo smog, dai ritmi esagerati ed ormai, come dice, “che non si sopportano più” di Roma.  Dal libro, che in fondo diventa anche una feroce autoanalisi, come tutte le sincere autobiografie d’altronde,  in cui si fanno i conti davvero con l’uomo e con il suo alter-ego, che poi nel caso specifico di un attore questo alter-ego diventa quasi primario e prende anche il sopravvento, si evince fondamentale quello che rimane il dato caratteriale della personalità di Franco Nero, e che noi, in qualche maniera, imparandolo a conoscere nel tempo, sullo schermo e, come nel caso più personale,  anche nella vita, abbiamo gli estremi oggi per poterlo confermare. Questo aspetto emergente del suo carattere è quello di risultare effettivamente un baston contrario,  e questo aspetto il libro lo affronta e lo esaurisce benissimo in quasi tutti i suoi capitoli, seppur nelle differenze concesse, dall’evolversi della  esistenza dell’attore e dai differenti e mutati periodi storici.

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