NINETTO DAVOLI: UNA VITA CON PIER PAOLO PASOLINI

di Giovanni Berardi

N. Davoli e G. BerardiEravamo ragazzini in quel lontano 1971, quando al cinema Corso di Latina proiettavano “Il Decameron”       di Pier Paolo Pasolini con il divieto assoluto ai minori di anni diciotto. E, dobbiamo dirlo, il cinema Corso    era proprio ligio ad osservare quel divieto e difatti non siamo riusciti a penetrare quella soglia. Abbiamo  dovuto aspettare anni per esaudire quel rimpianto e vedere finalmente in sala, in una rassegna d’essai         al mitico cinema Planetario di Roma, “Il Decameron” di Pasolini. Questa cosa l’abbiamo riferita a Ninetto Davoli quando lo abbiamo incontrato a Latina in occasione della sua tournè teatrale “Albergo Rosso” e lui    si è divertito un mondo ad ascoltarla perché subito ci ha tacciati: “ve piaceva vedè le donnine nude, ma lì non c’erano solo le donnine nude…”. Pier Paolo Pasolini sarebbe stato ucciso, come tutti sappiamo, solo qualche anno dopo l’uscita del “Decameron”, nel 1975. Latina non è mai stata tenera con il poeta, è riuscita anche a denunciarlo, questa nella vicina San Felice Circeo, addirittura per un’ assalto a mano armata e a scopo di rapina nei confronti di un benzinaio sulla via Litoranea, sotto le pendici del monte di Circe, uno     dei luoghi prediletti dal poeta e il processo a Latina ha visto molte volte Pasolini presenziare al tribunale, naturalmente “additato”, “accusato” e “deriso” da moltissimi cittadini pontini. Era diventato uno sport cittadino in quei giorni l’insulto all’uomo Pasolini e al “frocio”. Questo Davoli lo sa e lo conferma. Nel 2021 Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto cento anni e molte in Italia sono state le manifestazioni che hanno ricordato tale alba. Ma Ninetto Davoli no, non c’è stato proprio a questo “gioco”. Ninetto, a cui era stato toccato il compito dell’identificazione del corpo straziato del poeta, all’Idroscalo di Ostia, non si è voluto piegare proprio alla logica del ricordo “retorico”, come lo ha chiamato, preferendo dribblare le tante manifestazioni organizzate per omaggiare il centenario della nascita del grande poeta e regista.  Dice Ninetto Davoli. “Sono cose che poco mi riguardano, io Pier Paolo c’è l’ho dentro il cuore e francamente tutte queste cose in suo onore, oggi, un poco mi danno da pensare”. Oggi Ninetto Davoli è rimasto soprattutto il  Giggetto della pubblicità Saiwa. E questo nonostante le cose importanti che poi ha fatto al cinema e in teatro, ma Ninetto Davoli oggi è contentissimo per questa popolarità che li deriva dallo scanzonato garzone in bicicletta perché Ninetto Davoli stesso afferma che mai avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che un giorno sarebbe diventato un attore cinematografico di spessore, un attore dai riscontri anche internazionali.

 Ninetto Davoli ha interpretato tutti i film di Pasolini, tranne “Medea”, “ma solo perché impegnato a fare il servizio militare” dice Ninetto Davoli, e non fu presente nemmeno nell’ultimo disperato film girato da Pier Paolo Pasolini nel 1975, “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”  (è il film che poi diventerà l’alba e per molti anche il proscenio rivelatore del brutale omicidio-“suicidio” di Pier Paolo Pasolini): “Il Vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci e uccellini”, “Le streghe”, episodio “La terra vista dalla luna”,  “Capriccio all’italiana”, episodio  “Che cosa sono le nuvole?”,“Edipo Re”,“Teorema”, “Porcile”, “Amore e rabbia”, episodio  “La sequenza del fiore di carta”, “Il Decameron”, “I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle mille e una notte”.   Forse la scelta di non avere Ninetto con lui, ancora una volta nell’ultimo set di “Salò”, è maturata proprio    per non coinvolgere Ninetto che, in qualche maniera, nel mondo poetico di Pier Paolo Pasolini, continuava    a restare come la  rappresentazione pura della vita, il suo inno, anzi, la meraviglia della vita, proprio una contrapposizione all’idea pasoliniana, ormai convinta, del genocidio di massa imminente operato dalla civiltà dei consumi e a cui consentiva decisamente un solo percorso liberatorio, quello dell’autodistruzione. E forse,  mentre Pasolini moriva così atrocemente, vittima proprio  della violenza culturale di natura consumistica, da lui sempre e comunque tragicamente enunciata (non vi era poesia nei suoi ultimi “Scritti corsari”),  Ninetto Davoli era ancora lì a correre in bicicletta, anzi zigzagando, vestito da Giggetto il panettiere nelle deserte strade di una Roma ancora sonnacchiosa, mentre cantava a squarciagola per pubblicizzare i crackers Saiwa, in quello che è ormai un retaggio degli assolutamente mitici, per la generazione del cronista, dei Caroselli televisivi. Pier Paolo Pasolini di Davoli ne era alquanto orgoglioso perché, più di Franco e Sergio Citti, legati al poeta perlopiù da un film disperato e tragico come  “Accattone”, 1962, rappresentava, con il carattere gioioso che gli è proprio, il suo cinema solare, quello della “trilogia della vita”, quello che Pasolini continuava a reputare “gaio” e di “opposizione   alla repressione sessuale esercitata dalle classi al potere”:   “Il Decameron”, “I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle mille e una notte”, ma soprattutto, secondo gli intendimenti di Pasolini, la  “realtà fisica del popolo”,  la “realtà corporea”,  il “corpo nudo”,  il “sesso”.  Ora, e questo è proprio un inciso, il popolo appassionato di cinema non ama propriamente tantissimo il cinema d’autore più Ninetto Davoliclassico, come era anche quello di Pier Paolo Pasolini. Gli appassionati fedeli riconoscono in questo cinema qualcosa di sublime certo, sicuramente di prezioso e di autentico, ma le forti emozioni, al netto della visione, da questi autori ne escono alquanto soffocate.  Solenne allora è il nostro motivo di ritenere assoluti autori del cinema migliore, coloro che esprimono davvero, oltre lo stile rigoroso,    la popolarità del cinema, personalità quali, e stiliamo un elenco al quale la priorità è solo un ordine di apparizione alla vita, Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock, Sergio Leone, Stanley Kubrick, Quentin Tarantino. Ma il cinema poesia di Pasolini viveva assolutamente di gloria diversa: sempre un evento, sempre qualcosa di unico, ogni film coglieva una fase cruciale nel curriculum vita dell’autore poeta, fasi che lo porteranno inevitabilmente ad esplodere in una crisi profonda, infine a formulare, anzi ad interpretare e vivere un discorso, una ragione sempre più disperata, sul futuro capitalistico.  E allora ricordiamo Ninetto Davoli soprattutto in quel film meraviglioso che rimane “Uccellacci e uccellini”, girato nel 1966, il suo primissimo    da protagonista d’altronde, perché è il film che ha rappresentato ed annunciato il percorso tortuoso che,    alla fine, ha condotto alla crisi delle ideologie. Si tratta di un corvo parlante che segue il peregrinare di    Uccellacci e Uccellini Totò e di Ninetto, in una favola anche chapliniana, che dice di venire dal paese di Ideologia e di essere   figlio del dubbio e della coscienza. Ebbene questa pellicola ha inchiodato alla seggiola, e nei dubbi, più       di una generazione di spettatori. Ed il funerale di Palmiro Togliatti, l’uomo politico comunista che fu tra i   primi a battersi per l’autonomia del partito dall’Unione Sovietica e che ha aperto la via italiana al socialismo, mostrato così realisticamente (proprio un inserto di cinegiornale dell’epoca)  per simboleggiare, proprio irrimediabilmente, la fine di un epoca storica, quella della Resistenza, quella delle grandi speranze per il comunismo, quella della grande lotta di classe. Rivisto naturalmente, dal cronista, in un piccolo cinema d’essai di Roma, in quella che era solamente una serie di film dedicata a Totò, in una lontana estate del 1975. E’ il film che, per quanto riguarda il cronista, è risultato un manifesto di coscienza politica. Ma per Ninetto Davoli era l’inizio della meravigliosa avventura nel cinema. “E pensare che un film come “Uccellacci e uccellini” non volevo mica farlo” dice Ninetto Davoli  “ero pischello, pensavo “ma chi è che va al cinema a vedere una faccia come la mia”. Poi ho cambiato idea quando Pier Paolo mi ha detto che il lavoro nel film era soprattutto camminare con Totò e che si potevano guadagnare anche due milioni”. Totò, che all’epoca Davoli, ed i suoi amici di quartiere, immaginavano come qualcosa che quasi non esisteva. Dice Ninetto Davoli:  “per noi ragazzi dell’epoca Totò era un idolo, come Charlot e come Stanlio e Ollio, lo sentivamo davvero inarrivabile”. Ed invece oggi Ninetto Davoli ricorda le volte che  Totò, quando a Ninetto capitava, e capitava sovente, di non ricordare le battute del film, era sempre pronto a voltare le spalle alla macchina da presa per suggerirgli meglio le battute. E non poteva, quindi, non essere una carriera in crescendo quella di Ninetto Davoli, visto quali padri gli hanno segnato e consolidato l’esordio. Con Totò, ricorda Davoli, l’affiatamento è stato subito eccezionale, Totò gli diceva che la sua faccia era bella, era proprio d’attore, ma doveva però studiare, e studiare sodo. “Io di questa cosa qua me ne sono sempre fregato” ricorda Ninetto. Ai centri sperimentali ed alle scuole Davoli ha sempre preferito essere sé stesso,  nel suo mestiere è sempre rimasto solo un transfert della sua personalità e della sua cultura in un personaggio altro. Risalendo nelle caratterizzazioni pasoliniane più personali resta memorabile quella ne “I racconti di Canterbury”, il balletto, quasi chapliniano, di Davoli, una realtà circense che Pasolini ha inserito nel contesto, quasi un’idea bizzarra assolutamente di passaggio. Ed è una genialità che diventa, nel proscenio e come per incanto, un’idea sublime.  E i lavori di Ninetto Davoli nel cinema italiano cominceranno proprio a moltiplicarsi, segno evidente di una intelligenza e di una maturità anche artistica  ormai raggiunta: “Er più, storia d’amore e di coltello”, Sergio Corbucci,  “Storia di fifa e di coltello-Er seguito de Er più”, Mario Amendola,  “Abuso di potere”,  Camillo Bazzoni, “Anche se volessi lavorare che faccio”, Flavio Mogherini, “Il maschio ruspante”, Antonio Racioppi, “Storia de  fratelli e de cortelli”, Mario Amendola, “La signora è stata violentata”, Vittorio Sindoni,  “La  Tosca”, Luigi Magni.  La carriera e la vita di Ninetto Davoli nel cinema, e nel suo privato, a questo  punto, sono di quelle che diventano invidiabili, proprio per la grandezza delle personalità che gli hanno concesso di conoscere e di frequentare: Maria Callas, Adriano Celentano, Romolo Valli, Vittorio Gassman, Turi Ferro, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, Dacia Maraini, Mario Schifano, Enzo Siciliano, Dario Bellezza, Laura Betti, Bernardo Bertolucci, Silvana Mangano, Alida Valli, Adele Cambria, Carlo Giuffrè, Roberto Benigni, Giorgio Gaber, Ugo Tognazzi, Carmelo Bene, Luca Ronconi, Vittorio Caprioli, Ingrid Thulin, Walter Chiari, Luigi Proietti, Giancarlo Giannini, Aldo Giuffrè, Alighiero Noschese, Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Claudia Cardinale, Vincenzo Cerami, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Dice Ninetto Davoli:  “E sai cosa    ho imparato davvero da tutte queste frequentazioni? Proprio la tolleranza”. E, guarda il caso, spesso la tolleranza era uno dei valori più inseguiti nelle tematiche poetiche, letterarie, cinematografiche e di vita di Pier Paolo Pasolini.  La seconda parte della carriera di Ninetto Davoli, che inevitabilmente coincide con la morte di Pasolini, consegnano alla critica un attore ormai noto e cresciuto. Il film del periodo, nel quale meglio confermerà, comunque, le naturali doti di attore è “Il lumacone”, sceneggiato da Ruggero Maccari,  un padre della commedia all’italiana e diretto da Paolo Cavara nel 1974, pellicola nel quale recita insieme    a Turi Ferro e Agostina Belli. E’ il film dove sicuramente Davoli ha l’opportunità più grande (senza Pasolini    e senza Sergio Citti) di dimostrare tutto il suo innato talento d’attore. Il personaggio offertogli da Cavara è corposo, riempie il proscenio e consente a Ninetto Davoli di contraltare proprio strepitosamente un attore    di razza come Turi Ferro. In seguito girerà  altri film, tra i quali si esaltano, in ogni caso ed anche per i più svariati significati, titoli come “ L’Agnese va a morire”, Giuliano Montaldo, “Spogliamoci così senza pudor”, Sergio Martino, “Buone notizie”, Elio Petri, “Il cappotto di Astrakan”, Marco Vicario, “La liceale seduce i professori”,  Mariano Laurenti, “Il conte Tacchia”, Sergio Corbucci, “A futura memoria: Pier Paolo Pasolini”,  I.B.Micheli, “Animali metropolitani”, Steno, “Uno su due”, Eugenio Cappuccio.

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