PIPPO FRANCO: …E LA RISATA RESTO’ GENTILE

di Giovanni Berardi

P.Franco-G.BerardiPippo Franco è davvero un comico gentile. Anzi, aggiustiamo il tiro: un grande attore comico davvero gentile.  Si evince proprio questo analizzando la sua filmografia e conoscendo soprattutto lui come   persona. Non sappiamo proprio perché ma, a riflettere sul cinema di Pippo Franco, sale alla memoria Erminio Macario, uno dei più grandi comici della storia dello spettacolo italiano, anche se tra i due insiste   un abisso, anche fisico, enorme. Eppure in qualche maniera Pippo sembra richiamare Erminio Macario.     La comicità dei film di Pippo Franco rimane una comicità fragorosa, di pancia, rivolta proprio alla farsa,         e che gioca spesso sui contrasti umani, sulla incompatibilità netta anche, tra individuo e società, la sua         è una maschera sempre in difficoltà nei confronti della vita. I suoi personaggi sono addirittura caricature, sgorbi simbolici, un po’ anche cartoni animati, sempre in bilico a suscitare il ridicolo, la risata grassa e la pietà. Non ci spareranno certo se, oltre a Macario, riflettendo ancora sui film comici di Pippo Franco può risalire alla memoria anche la comicità tragica di Charlot, ed anche un po’ l’ arte impassibile di Buster Keaton. E’ Mario Mattoli il regista che fa debuttare Pippo Franco al cinema nel 1960, con “Appuntamento     a Ischia”, inserendolo in un cast già ricchissimo di talenti comici dell’epoca come Carlo Croccolo, Alberto Talegalli, Mimmo Billi,  Luigi Pavese, Pietro De Vico, Alberto Sorrentino, Mario Castellani, Ugo D’Alessio, Carlo Taranto, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. In questo film di Mattoli, Pippo Franco si esibiva con il    suo gruppo musicale dell’epoca I Pinguini, ed accompagnava una giovanissima Mina nelle esecuzioni      delle canzoni “Una zebra a pois”, “La nonna Maddalena” e “Il cielo in una Furto di sera bel colpo si__ sperastanza”. Di fatto, come ci hanno ricordato gli addetti ai lavori del cinema, Pippo Franco in quei tempi andava in giro per i set per trovare lavoro, sempre accompagnato dalla sua inseparabile chitarra. Ed infatti è stato, e rimane, anche un autore ed un cantante apprezzato, autore di molte canzoni dai forti tratti umoristici, alcune di queste, ad esempio “Vedendo una foto di Bob Dylan” e “La licantropia” sono state fortemente amate da un autore importante della canzone italiana come Giorgio Gaber. Erano gli anni in cui in Italia cominciava ad affermarsi un genere cinematografico, che sarà molto popolare fino agli inizi degli anni settanta, che prendeva spunto dal solo successo di una canzone. Il soggetto trainante del film era semplicemente il testo della canzone necessariamente in voga nei vari periodi di quegli anni. Poi una serie di siparietti a tono, e ben indirizzati, risolti sempre da comici superlativi quali erano Peppino De Filippo, Nino Taranto, Gino Bramieri, Raffaele Pisu, Aroldo Tieri, Raimondo Vianello, Paolo Panelli, Bice Valori, Dolores Palumbo, Anna Campori, Clelia Matania, Pietro De Vico, Enzo Cannavale, Nino Terzo, Carlo Delle Piane, Franchi ed Ingrassia, in qualche caso persino Totò, a dare lustro e dignità altissima a tutto l’insieme. Dice Pippo Franco, che in questi siparietti è stato inserito in più film del genere, come “Chimera”, 1968, Ettore Maria Fizzarotti, con Gianni Morandi (questo è stato un film di cui il cronista, negli anni della sua felice infanzia, era davvero innamoratissimo), “Zingara”, 1969, Mariano Laurenti, con Bobby Solo, “Pensiero d’amore”, 1969, Mario Amendola, con Mal dei Primitives, “Viva le donne”, 1970, Aldo Grimaldi, con Little Tony: “ho un rispetto profondo per questi film, il pubblico li apprezzava tantissimo. Era un pubblico semplice e gentile, e noi pensavamo davvero di realizzare dei piccoli musical all’italiana”.  E sono questi in fondo i film che hanno rivelato Pippo Franco come l’ attore brillantissimo che poi è rimasto, con la battuta sempre fulminea e puntuale e con tutti i cromosomi del varietà ben allineati e puntigliosi nel sangue. Questi film, oggi chiamati musicarelli, venivano girati molto in fretta, dovevano seguire e sottolineare il percorso preciso di una canzone di successo, avevano quindi una uscita, in termini di noleggio, già fissata,  e bisognava realizzarli proprio per quella data. Ed anche dentro questa rapidità e dentro una castigatezza di mezzi che era proprio necessaria, vista la crisi sempre imperante nel cinema italiano (per questi film c’era persino il limite estremo di ventimila metri di pellicola da utilizzare) però le opere che ne uscivano erano tutte assolutamente dignitose, tutte Remo e Romolo stotria di due__ gfiogli e di una lupadivertenti, tutte ben incise e salde nei contesti semplici e gentili della società che rappresentavano. Ricordiamo (il cronista, ancora bambino, era quasi uno specialista divertito per questi    film) che ogni canzone doveva cadere al punto giusto, il pubblico quasi, dopo determinate e precise scene, cercava la canzone e la chiamava. E gli anni settanta sono stati per Pippo Franco proprio di questo tipo, gli anni del grande cinema risolto proprio numericamente. Il decennio dei settanta lo hanno visto protagonista  di ben venti pellicole, come dire un impegno di quasi due film al mese, e questo senza che la qualità del lavoro ne risentisse eccessivamente. Erano film certamente ben congegnati, ben girati, ben inseriti nel contesto culturale egemone, alcuni sono diventati, nel tempo, dei cult invidiati: pensiamo ad esempio  a  “Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda” di Mariano Laurenti e “Giovannona Coscialunga, disonorata con onore” di Sergio Martino, film amatissimi persino da cinefili appassionati come sono l’ex  onorevole Walter Veltroni e l’ex ministro Oliviero Diliberto. Queste due ultime pellicole sono ormai addirittura recensite nei Cahiers du cinema di Parigi, in compagnia proprio di titoli che hanno scritto la storia del cinema mondiale. E Pippo Franco di questo ne è davvero entusiasta, felicissimo, sente di non avere perso del tempo nel mondo del cinema e di essere stato davvero un compagnone in tantissimi momenti delle nostre esistenze. Poi nel decennio ci sono stati altri film, forse meno eclatanti, ma decisamente superlativi per la grammatica comica di un interprete come Pippo Franco: pensiamo a titoli quali “Mazzabubù… quante corna stanno quaggiù”, “Patroclooo! E il soldato Camillone, grande grosso e frescone”, “Furto di sera bel colpo si spera”, tutti diretti da quel grande artigiano della risata che è stato Mariano Laurenti, ma partecipa anche a  “Il debito coniugale” di Franco Prosperi, “Basta guardarla”, di Luciano Salce, “Boccaccio” di Bruno Corbucci, “La sbandata” di Alfredo Malfatti e Salvatore Samperi.  Dice Pippo Franco: “bei titoli davvero questi film,    ma già mentre li realizzavamo cominciavamo a sentire dire basta a pellicole di questo rango e di questo  dignitoso disimpegno. Ed era, ormai, anche un sentore quasi di educazione civile. Forse la colpa è venuta dalla presunzione d’autore, di cui l’ambiente veniva sempre più colpito, o dalla aggressiva invadenza delle televisioni che cominciavano a nascere confusamente in quel periodo. Poi si avvertiva anche un certo cambiamento del pubblico. Insomma, da più parti, lo spazio per la poetica dell’artigianato cominciava a venire sempre più boicottato”. Insomma, secondo Pippo Franco, i tempi cominciavano a chiedere la qualità alle pellicole dei nostri comici. E questo contesto, ormai diffuso dal clima culturale imperante, in definitiva,   ha spinto i produttori a consegnare la nomina di autori anche ai comici più popolari. Nasce così il debutto   alla regia per Pippo Franco. Il suo film è “La gatta da pelare”, girato nel 1981, ed è un film tutt’altro che trascurabile, spiritosissimo e la maschera di Pippo Franco, l’ omino sempre in difficoltà, anzi ancora vittima nei confronti della vita, è risolta finalmente con la personalità totale del suo autore, senza alleanze, che        in molti casi potevano risultare zavorre, magari quando consigliavano l’attore a contenersi o, al contrario, quando lo invogliavano alle facili esplosioni.  Dice Pippo Franco: “era inevitabile ormai, in quei contesti, il debutto alla regia. Anche perché, in definitiva, l’autore del mio personaggio ero sempre io, e che, anche     nei film diretti da altri, il mio personaggio, anche se con più difficoltà, me lo dirigevo da solo, me lo cucivo addosso personalmente. Il mio debutto alla regia è nato, certamente, favorito e richiesto da questi contesti”.  Ma Pippo Franco, intanto, è stato anche nel cast del regista americano Billy Wilder, l’ autore di “Viale del tramonto”, quando decise di girare in Italia, aiutato e sostenuto dallo sceneggiatore italiano  (amico di  vecchia data del regista) Luciano Vincenzoni, il suo filmChe cosa è successo fra mio padre e tua madre?”. Poi Luigi Magni  lo ha voluto assoluto protagonista di quello che rimane il titolo più anomalo della filmografia di Magni, “La via dei babbuini”, che il regista ha girato in Africa nel 1974, e questo dopo avere offerto già a Pippo Franco un ruolo nel classico “Nell’anno del Signore”, che lo hanno visto calcare il set tra i grandi attori  Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Enrico Maria Salerno, Alberto Sordi, Claudia Cardinale per poi richiamarlo in seguito, nel 1980, per  “Arrivano i bersaglieri”, interpretato insieme ad Ugo Tognazzi. L’ultimo periodo della sua stagione cinematografica Pippo Franco la vivrà con un altro regista, Pierfrancesco Pingitore, con il quale, tra l’altro, ha fatto ditta in teatro, dal Bagaglino al Salone Margherita di Roma, per oltre vent’anni. L’esordio nel cinema con Pierfrancesco Pingitore risale al 1976 (quando  Pingitore ancora faceva coppia   con Mario Castellacci) con il film “Remo e Romolo, storia di due figli di una lupa”, girato in tandem con  Enrico Montesano e Gabriella Ferri. E’ l’inizio questo di un lungo viaggio del cinema italiano nella caratterizzazione più buffa e più malinconica della maschera romana (molti di questi risolti da Pippo Franco in compagnia del bravissimo Bombolo e di Gianfranco  D’Angelo) nei film: “Nerone”, “Scherzi da prete “Tutti a squola”,  “L’imbranato”,  “Il casinista”,  “Ciao marziano”,  “Attenti a quei P2”,  “Sfrattato cerca casa equo canone”, “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”. E poi, ancora, tra la sua filmografia, gioielli come “L’inquilina del piano di sopra”, Ferdinando Baldi, “Il ficcanaso”, Bruno Corbucci,  “Zucchero, miele e peperoncino”, “Ricchi, ricchissimi…praticamente in mutande” entrambi diretti sempre da Sergio Martino. Piace pensare a questo genere di film come a pellicole ormai sopravvissute al sistema culturale egemone del periodo di produzione, piace vedere ancora oggi questo esercito di buffi ruspanti, pensiamo, oltre a Pippo Franco, ad Alvaro Vitali, Bombolo e Cannavale, a Gianfranco D’Angelo, Lino Banfi, Renzo Montagnani, Vittorio Caprioli, Mario Carotenuto, Lino Toffolo, Giacomo Rizzo, Carlo Sposito, Carlo Delle Piane, Michele Gammino, Gianni Ciardo, Lucio Montanaro, Leo Gullotta, e piace soprattutto rivedere le bellone di turno, Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Gloria Guida, Nadia Cassini, Carmen Villani, Ilona Staller, Dagmar Lassander, Femi Benussi, Lilli Carati, sempre sotto l’immancabile doccia, tutti insieme a testimoniare ancora l’onestà intellettuale di questi film, e seppure nella generale disapprovazione critica, a regalarci ancora le genuine     e sane risate, forse, per il cinema italiano, anche le estreme.

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