CINEMA E TERRITORIO PONTINO, TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

di Giovanni Berardi

Anni fa era andata in onda in televisione una fiction, Questa è la mia terra, per raccontare, pur usando toni da soap-opera piuttosto che tentare una seria storicizzazione, il lavoro duro e difficile dei coloni per bonificare il territorio dell’ Agro pontino. In una di quelle puntate c’era una scena in cui la soave Silvana, figlia di un colono, prostituta nei bordelli romani, professione mantenuta in vita sotto le mentite spoglie di attrice, annuncia di dover rientrare immediatamente a Roma per partecipare al provino per il film Sole, primo lungometraggio realizzato nell’agro e sull’agro, che il regista Alessandro Blasetti si apprestava a girare. La storica bugia era raccontata solo per celare alla sua famiglia di coloni ferraresi, che lavoravano alla bonifica, la sua vera attività nel mercato.

questa-la-mia-terra-filmGirato proprio in contemporanea ai lavori della bonifica il film di Blasetti è uno dei primi film realisti della storia del cinema italiano, lo stoico movimento culturale cinematografico del neorealismo sarà storia di poi.

Sole è un film ormai introvabile, pare che la Cineteca Italiana conservi solo il primo tempo ed in pessime condizioni. Il film, realizzato nel 1929, è, insieme al libretto di Corrado Alvaro, una delle prime cronache sull’agro pontino in via di bonifica, insieme all’agro romano. E fu un film molto amato dalla critica cinematografica, purtroppo come già detto al capoverso, del film ne è rimasto solo un frammento, duecentosessanta metri di pellicola, con i titoli di testa e poche inquadrature iniziali. La prima didascalia che scorre tra le immagini è eloquente, dice:   “palude, terra ove il sole si specchia nel fango, campo dell’eterno conflitto fra civiltà e regresso”. Sole, nelle intenzioni del regista, voleva documentare quella che era stata la dura lotta, in definitiva, tra gli abitanti della palude ed i bonificatori mandati dal regime, poiché il loro intervento prevedeva lo sfratto degli abitanti le zone paludose. Il film, nel periodo, ebbe una una risonanza anche internazionale per l’abilità del regista nel condurre in porto una operazione, dati i tempi della cronaca, completamente immune dai proclami tipici del regime. Alessandro Blasetti, a differenza di molti altri, era un regista colto, indipendente, originale e non fu mai, proprio come Corrado Alvaro, un rappresentante della cultura fascista più rozza ed incolta.

A Benito Mussolini comunque il film piacque molto, ripudiò invece in maniera decisa Camice nere di Gioacchino Forzano, secondo film girato nell’agro pontino. Il lieto fine scelto da Blasetti, autore già manifestamente pacificatore, certamente fece da tramite per l’apprezzamento pubblico che il Duce manifestò per la pellicola. Proprio quella riuscita mediazione tra la necessità di bonificare la zona malsana rispettando al contempo la gente del posto colpi non poco il dittatore. Infatti dopo lotte più o meno intestine e più o meno feroci, la bonifica si compie e gli abitanti della palude, insieme ai coloni giunti dal nord, si trasformarono in agricoltori. Retorica di regime? Forse. Ma la storia spiega che anche Leonardo abbandonava speso tele e fogli di studio per pensare intensamente a come, un giorno, poter bonificare le paludi pontine e quando, secoli dopo, la cosa era diventata una realtà tangibile non poteva non entusiasmare un artista del cinema italiano come Alessandro Blasetti ed uno scrittore come Corrado Alvaro.

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