IL POTERE DI ORDINANZA DEI SINDACI, TRA URGENZE DEL TERRITORIO E CAPTATIO BENEVOLENTIAE DELLA POLITICA

di Cinzia Mentullo

Negli ultimi giorni è tornato di grande attualità il tema del potere di ordinanza dei Sindaci, solo qualche anno fa balzato agli onori della cronaca a seguito dell’iniziativa di alcuni primi cittadini soprattutto del nord Italia. Già all’epoca i c.d. “sindaci sceriffi”, definizione non proprio esaltante coniata dalla parte più critica dell’opinione pubblica, richiamando l’esigenza di assicurare l’“ordine” e la “sicurezza”, di fatto incisero profondamente sulle libertà individuali attraverso l’adozione di provvedimenti repressivi su questioni di immediato impatto come la prostituzione, l’accattonaggio, gli immigrati.

Il Sindaco di Padova, con l’ordinanza datata 2 settembre 2014, è da ultimo intervenuto per reprimere il fenomeno del consumo di alcoolici da parte dei minori. Il contestato provvedimento pertanto riapre, a livello mediatico ed etico-giuridico, un dibattito molto sentito e in continua evoluzione, che rispecchia sensibilità e approcci politici eterogenei, come accade in tutte le comunità fortemente integrate con il territorio, da parte di tutti i cittadini delle comunità locali.

Ancor prima di entrare nel merito dell’argomento, appare tuttavia opportuna una breve premessa metodologica. Partendo dal dato giuridico, il potere di ordinanza del sindaco è disciplinato dall’art. 54 del Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000), modificato dal Legislatore nel 2008 con l’intento di rafforzare le prerogative sindacali, in precedenza limitate alla tutela dell’incolumità dei cittadini nei soli casi di necessità ed urgenza. Tale potere, tuttavia, non può che essere esercitato nel rispetto della carta costituzionale che regola il nostro sistema nel suo complesso. E proprio richiamando il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, parità di trattamento, indivisibilità del territorio della Repubblica, legalità sostanziale (in virtù del quale l’attività della pubblica amministrazione deve essere definita non solo nei fini ma anche nei mezzi, soprattutto quando è in grado di ledere le libertà o i diritti fondamentali degli individui) e riserva di legge, la Corte Costituzionale ha parzialmente accolto la questione di illegittimità sollevata sul potere di ordinanza dei Sindaci ridefinendone i limiti, con rilevanti effetti pratici.

Il dibattuto potere di ordinanza sindacale ad oggi appare limitato all’emanazione dei soli provvedimenti extra ordinem, cioè ristretto alle ipotesi di contingibilità ed urgenza. A fronte di questa chiara pronuncia del Giudice delle Leggi, tuttavia, si sta concretizzando il rischio che i primi cittadini adottino, in luogo dei provvedimenti di ordinaria amministrazione, quelli contingibili ed urgenti senza che ne ricorrano i presupposti di legge. Tali atti, pur avendo effetti limitati nel tempo, sono in grado di derogare alla legislazione ordinaria restringendo le libertà costituzionalmente garantite.

E se da una parte appare auspicabile un intervento legislativo che contemperi l’esigenza di salvaguardia dei cittadini con i precetti costituzionali, non si può d’altro canto ignorare la caotica giungla normativa locale, in cui continua a fiorire una congerie eterogenea di ordinanze al limite della legalità, provvedimenti che incidono direttamente sulla nostra vita quotidiana e sull’identità dei nostri territori di appartenenza (in tutti i sensi).

Significativa, oltre all’ordinanza del Sindaco di Padova, è quella del Sindaco di Verona il quale, con un provvedimento che rimarrà in vigore fino al 31 ottobre, ha proibito il “pic nic” nel centro cittadino e soprattutto ha vietato la distribuzione da parte delle associazioni solidali di cibi, bevande e coperte ai senzatetto anche in periodi primaverili ed estivi, non connessi all’emergenza freddo, con la previsione di una sanzione pecuniaria da 25 a 500 euro per i trasgressori. Se non che uno dei primi “multati” fu un bambino colto in flagrante mentre addentava un kebab sulle scale di Palazzo Barbieri, costretto (i suoi genitori) a pagare una multa di 50 euro.

Fantasiosa e vagamente surreale è la vicenda del comune di Tradate, centro del varesotto di 15 mila anime dove tre anni fa, a seguito della richiesta avanzata da una commerciante di aprire un sexy shop, il sindaco firmò un’ordinanza con cui vietava negozi del genere a meno di mille metri da chiese e luoghi di culto, case di cura, cimiteri, scuole e “insediamenti destinati all’educazione e allo svago di bambini e ragazzi”, in generale dei cosiddetti “luoghi sensibili”. A Palazzo si resero conto che, nonostante l’imbarazzo di dover discutere di vibratori e bambole gonfiabili, anche quella materia doveva essere disciplinata con un regolamento comunale, da discutere e approvare in Consiglio. Nell’attesa di mettere a punto lo strumento normativo regolamentare, con una seconda ordinanza venne così impedito di impiantare sexy shops in zone vicine a parchi e ville e nel centro storico. La titolare dell’attività commerciale diede subito battaglia al Tar e, nonostante il regolamento sia stato poi varato, vietando negozi che vendono o noleggiano materiale pornografico a meno di 300 metri dai “luoghi sensibili”, i giudici si sono dovuti comunque pronunciare sui danni che la negoziante aveva già chiesto per i mancati incassi. Accogliendo il ricorso il Comune di Tradate è stato così condannato dal Tar lombardo a risarcire alla commerciante 5.000 euro. Cifra simbolica ma sufficiente per lanciare un messaggio.

Orbene, a fronte di tanta creatività degli amministratori locali, data comunque per condivisa e politicamente trasversale l’esigenza di intervenire sul territorio urbano per contrastare le condizioni che favoriscono il proliferare della microcriminalità e rendono difficile la fruizione pacifica e serena degli spazi urbani, non si può tuttavia evitare di chiedersi se le contestate ordinanze siano uno strumento efficace, sotto un profilo giuridico e operativo, per risolvere concretamente i problemi di degrado urbano. Basti considerare che il Codice Penale, in tutto il territorio italiano e in misura indiscriminata, quindi sostanzialmente equa, punisce le condotte valutate illecite tout-court, inclusi fenomeni come la presenza di immigrati clandestini, il traffico di sostanze stupefacenti, il consumo di bevande alcooliche da parte di minori in tutte le forme, la prostituzione.

Rimane ancora da chiedersi se l’esercizio del potere di ordinanza sindacale, declinato sui temi che riguardano la sicurezza non sia una modalità diffusa e semplicistica della politica per carpire il consenso. Laddove corteggiare il facile consenso diventa l’obiettivo primario (unico?) della politica dell’oggi, una sirena incantatrice che sposta l’attenzione di chi ha avuto mandato dal più impegnativo e fisiologico obiettivo di costruire il domani.

In altri termini: governare accarezzando le paure irrazionali dei cittadini per ottenere sempre e comunque il consenso non rappresenta in realtà una captatio benevolentiae per coprire la scarsità di idee e di coraggio della politica? Chi ci governa non dovrebbe avere invece capacità e competenze per spostare l’orizzonte più lontano e vedere una strada percorribile verso la crescita culturale, etica ed economica della comunità, invece di offrirci in pasto l’idea di un facile nemico da allontanare?

A ciascuno di noi lo spazio per una riflessione, o almeno per un dubbio.

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